Personalità e meccanismi di difesa


"L'uso, comune a tutte le lingue europee, della parola persona per indicare l'individuo umano è, senza saperlo, pertinente: persona significa, infatti, la maschera di un attore, e in verità nessuno si fa vedere com'è; ognuno, invece, porta una maschera e recita una parte"
Arthur Schopenhauer,Parerga e paralipomena, 1851

Difendersi da cosa? Difendersi perché?
    Esistono diversi modi di stare al mondo, di interagire con esso, di vivere le proprie rappresentazioni e di rispondere agli stimoli interni ed esterni. Queste specifiche "modalità" restano largamente stabili durante tutto l'arco di vita e comunque a partire da una certa epoca in poi, caratterizzandoci nella nostra individualità. In base alle diverse teorie psicogenetiche della personalità questo processo può essere descritto e ridotto come esito di diversi fattori, ad esempio fattori ereditari, fattori culturali, come determinato dell'apprendimento, dei condizionamenti, delle relazioni, quindi più in generale dell'esperienza. La psicologia e la psicoanalisi hanno studiato e tentato di capire il rapporto che corre tra elementi esperienziali soggettivi, personalità, psicopatologia, cercando di descrivere alcuni "meccanismi" generali di funzionamento dell'apparato psichico. 
Nel lavoro di ricerca, al fine di descrivere fenomeni così complessi, siamo soliti sintetizzare determinati processi di pensiero, dinamiche inconsce o modelli di comportamento, facendo ricorso a categorie diagnostiche, utilizzate dai terapeuti ad orientamento analitico per definire i tipi di personalità, le quali si riferiscono, in maniera implicita, all'azione persistente nell'individuo di una specifica difesa o costellazione di difese: "Un'etichetta diagnostica è dunque una sorta di abbreviazione che indica il modello difensivo abituale di una persona" (1). Freud aveva utilizzato il termine "meccanismo" come per sottolineare il fatto che tali fenomeni psichici, essendo caratterizzati da una "struttura", sono suscettibili di un' indagine di tipo scientifico. La dicitura "meccanismo di difesa" compare negli scritti metapsicologici (1915) con due accezioni diverse: per designare l'insieme del processo difensivo caratteristico di una nevrosi, o per indicare l'utilizzazione difensiva di "destini pulsionali" attraverso meccanismi come rimozione e trasformazione nel suo contrario (2). Successivamente all'assunzione del modello strutturale, Freud formulerà l'ipotesi che esista "una intima connessione tra particolari forme di difesa e determinate affezioni" e ancora che "l'apparato psichico, prima della differenziazione netta tra l'Io e l'Es, prima della formazione di un Super Io, adoperi metodi di difesa diversi da quelli che usa dopo aver raggiunto questi stadi di organizzazione" (3). Il concetto di difesa si allargherà quindi non restando solo un sinonimo di rimozione: "difesa deve essere la designazione generale per tutte quelle tecniche di cui si serve l'Io nei suoi conflitti" (4). Come è noto il tema dei meccanismi di difesa è diventato centrale dopo il 1936 grazie al lavoro di Anna Freud "L'io e i meccanismi di difesa". Questo lavoro rappresenta il tentativo di descrivere la varietà, la complessità e l'estensione dei meccanismi difensivi. In continuità con il lavoro del padre, secondo l'autrice l'Io contiene complesse organizzazioni difensive inconsce che si sono sviluppate per soddisfare le esigenze del compromesso nevrotico, modi di pensare che mantengono le pulsioni rimosse al di fuori della consapevolezza (6). Come riporta Anna Freud, nell'Opera del padre è possibile individuare otto meccanismi di difesa in aggiunta alla rimozione: Introiezione, Identificazione, Proiezione, Regressione, Conversione nell' opposto, Riflessione sulla propria persona, Sublimazione, Formazione Reattiva, Isolamento e Annullamento retroattivo. Sono diverse modalità che l'Io sfrutta per difendersi nel conflitto dal «pericolo» o meglio dai suoi fantasmi. Osserviamo che in una stessa struttura (Io) si ritrovano sia la condizione di protetto che quella di proteggente, considerando inoltre che le difese vengono messe in atto in maniera involontaria, inconsapevole ed autonoma, ne deriva che tutto dipenderà dall'Io e dalle sue valutazioni (5). Con la psicologia dell'Io l'analisi acquisiva una funzione diversa, quella cioè di aiutare il paziente a raggiungere una soluzione più funzionale al contrasto tra le esigenze in conflitto delle varie istanze (in sostanza un nuovo e più funzionale compromesso nevrotico)[1].
Più in generale possiamo dire che la psiche instaura una serie di difese, facendo ricorso alle attività più diverse (ad es.: fantasie, attività intellettuale, pensiero), con l'intento di proteggersi non solo da rivendicazioni pulsionali (Es), ma da tutto ciò che è in grado di procurare angoscia (emozioni, situazioni, esigenze del Super-Io) (2).
La funzione delle difese come strumento atto a salvaguardarci dall'angoscia è descritta egregiamente dal lavoro di Melanie Klein. Questa autrice ha dato un contributo fondamentale alla comprensione delle dinamiche difensive, influenzando forse più di tanti altri, la psicoanalisi attuale. La descrizione che la Klein ci fornisce è quella di una psiche fluida, instabile (in opposizione alla mente strutturata e definitiva dell'adulto a cui si riferivano gli psicologi dell'Io), costantemente impegnata a tenere lontane le angosce psicotiche. Se per Freud ogni individuo è in lotta contro desideri bestiali, timori di punizione e sensi di colpa, per la Klein ciascuno di noi lotta contro profondi terrori di annichilimento (angoscia paranoide) e di abbandono assoluto (angoscia depressiva) e si difende facendo ricorso a specifici meccanismi di difesa (scissione, proiezione, identificazione proiettiva) i quali restano attivi come elementi caratterizzanti lo sviluppo della psiche, il suo funzionamento generale, oppure come elementi specifici e caratterizzanti di determinate condizioni patologiche (6).
Dunque le difese hanno valore auto-conservativo[2], sono largamente autonome ed involontarie, ci proteggono da elementi che rappresentano un pericolo per l'integrità dell'Io e che minacciano l'integrità del compromesso psichico raggiunto tra le diverse istanze o più in generale ci proteggono dall'angoscia. Si evince inoltre che tale processo non è dato una volta per tutte ma necessita al contrario di una gran quantità di energia per poter operare con continuità ed efficacia al fine di raggiungere il suo scopo. E' per questo motivo che all'inizio di questo lavoro, parlando di "modi di stare al mondo ed interagire con esso" ho fatto riferimento a "modalità relativamente stabili", non nel senso di "stabilità" intesa come "staticità", ma intendendo fare riferimento ad un processo attivo che dota di continuità l'agire caratterizzandolo in un preciso modo. Potremmo riferirci a questi modi di essere, pensare e agire come a "stili difensivi" e possiamo individuare quali "meccanismi difensivi prevalenti" sono maggiormente attivi.
In chiusura di questa introduzione teorica ricordiamo che attualmente, oltre ai meccanismi di difesa evidenziati dal lavoro degli psicologi dell'Io sopracitati, facciamo riferimento anche ad altre strategie difensive e in virtù del lavoro di sintesi che stiamo operando, credo sia utile  annoverarli: annullamento, controllo onnipotente, difesa maniacale, difesa ossessiva, diniego, formazione reattiva, idealizzazione, identificazione, identificazione proiettiva, identificazione con l'aggressore, intellettualizzazione, introiezione, isolamento, messa in atto, negazione, neutralizzazione, proiezione, regressione, rimozione, scissione, somatizzazione, spostamento, svalutazione, sublimazione, umorismo (7).


Tutti noi mettiamo in atto l'intera gamma delle difese psichiche a disposizione. Ma le condizioni patologiche sono caratterizzate da un ricorso "massiccio", frequente e preferenziale a determinati meccanismi. Identificarli è un passaggio fondamentale del processo diagnostico. Ciò ci permette di individuare la struttura, l'organizzazione e il funzionamento della personalità in funzione di un obiettivo psicodiagnostico e/o terapeutico. E' necessario anzitutto capirne il grado di evoluzione (difese primitive o mature) (8), un'attività che, qualora non si riveli subito così evidente (i casi più gravi sono generalmente più rapidamente inquadrabili), richiede tempo e una attenzione particolare all'interazione e al comportamento, alle relazioni, alle rappresentazioni, alle fantasie, ai contenuti espressi durante il colloquio e ai modi di trattare tali contenuti. Più facilmente, anche disponendo di poche informazioni è possibile intuire o ipotizzare quale meccanismo di difesa sottenda ad un determinato comportamento, una rappresentazione, una fantasia, una modalità relazionale o un agito espressi. 

note:

[1] Questa innovazione nella "teoria della tecnica" psicoanalitica portò ad una vera e propria deriva della psicoanalisi che si manifestò tristemente nell'attività che svolsero gli psicoanalisti negli Stati Uniti intorno agli anni 40-50, una storia poco conosciuta, forse negata o rimossa dagli stessi psicoanalisti, ma ben descritta e comunicata nel documentario "The century of the self" di Adam Curtis (2002). Il "nuovo e più funzionale" compromesso nevrotico doveva infatti essere considerato in funzione della società e della cultura all'interno delle quali veniva raggiunto. Accadde così che gli intenti degli psicoanalisti sembravano colludere con le volontà del Governo degli Stati Uniti di creare una società conformista e funzionale. Su committenza del Governo stesso, gli psicoanalisti si adoperarono quindi per ricondurre le condizioni di devianza e patologia ad una condizione "socialmente accettabile". La psicoanalisi diveniva così strumento idoneo a facilitare e concretizzare il raggiungimento di un modello conformistico di società, quel modello che gli USA stavano cercando di costruire e rafforzare attraverso una serie di iniziative culturali, economiche, politiche, propagandistiche.

[2] al pari delle risposte di attacco, fuga o freezing in reazione a stimoli emotigeni avversivi esterni.


Articolo a cura di Stefano Giannini


Riferimenti bibliografici:

1 - Nancy McWilliams, La diagnosi psicoanalitica, 1994 - Astrolabio
2 - J. Laplanche e J.-B. Ponyalis,  Enciclopedia della psicoanalisi, 1967 - Editori Laterza
3 - Freud S., Metapsicologia, 1915
4 - Freud S. Inibizione, sintomo e angoscia, 1926
5 - Antonino Lo Coscio, "Considerazioni sui meccanismi di difesa" - Conferenza tenuta nel novembre 1973 presso il Centro Orientamento Scolastico Professionale del Consorzio Provinciale Istruzione Tecnica di Udine.
6 - Mitchell, Black, L'esperienza della psicoanalisi. Storia del pensiero psicoanalitico moderno, 1996 - Bollati Boringhieri
7 - Umberto Galimberti, Dizionario di Psicologia, 1999  - Garzanti
8 - Kernberg O.F., "L'intervista strutturale", 1981 -


Nessun commento:

Posta un commento

I COMMENTI SONO SOGGETTI A MODERAZIONE DA PARTE DELL'AMMINISTRATORE DEL BLOG -