Se si effettua una ricerca bibliografica sul concetto di simulazione ci si rende conto che ciò a cui si riferisce
la quasi totalità della letteratura scientifica mal si addice al contesto della valutazione delle capacità
genitoriali [1].
Il termine in questione ha una lunga tradizione in psichiatria [2] e fa riferimento,
per tradizione e ormai in maniera pressoché automatica e implicita, alla simulazione di malattia mentale [3]. Questa
consiste nella riproduzione ed imitazione, consapevole e volontaria, di sintomi
psicopatologici finalizzate al conseguimento di uno scopo [4]. Anche i
contemporanei manuali diagnostici, come il DSM-IV e V, annoverano questo termine
attribuendovi lo stesso significato implicito: “produzione intenzionale di sintomi fisici o psicologici falsi o
grossolanamente esagerati, motivata da incentivi esterni” [5].
Su
questa materia si può trovare un’ampia letteratura quasi esclusivamente a
carattere criminologico[6], infatti
la simulazione (di malattia mentale), trattata come una entità nosografica, è
da sempre quasi esclusivamente oggetto di diagnosi differenziale nei soggetti
detenuti o imputati per reati gravi, il cui scopo è molto spesso quello di
sfuggire alla carcerazione o di ottenere altri benefici in ambito giudiziario
(attenuanti, sconti di pena, trasferimenti a regimi carcerari meno duri, ecc).
Il contesto giuridico principale in cui ci si interroga sulla presenza o meno
di simulazione, intesa in questi termini, è di conseguenza quello dell’imputabilità, inerente cioè le capacità di intendere o volere [7]. Nel corso
del ‘900 quindi il termine simulazione ha talmente subito l’influenza del contesto
applicativo giuridico-psichiatrico-forense, al punto da assumere anche in
psicologia un significato prevalente pressoché esclusivo, nel senso che
esclude ormai le altre accezioni, che sottendono ad altre forme di simulazione e che pure sono di interesse per le scienze della psiche e non meno importanti.
Se volessimo per esempio applicare tale definizione di simulazione all’ambito
della popolazione sottoposta a valutazione delle capacità genitoriali, questa non
troverebbe spazio alcuno, infatti tendenzialmente la maggior parte dei
soggetti che compongono questa popolazione tenderà certamente a mostrarsi, ricorrendo
alla simulazione, sotto una luce diversa, ma il più possibile favorevole. Da
qui la domanda posta nel titolo del presente paragrafo: quale simulazione? Cosa
simula un genitore se non simula una malattia mentale? Se volessimo dare una
risposta diretta, potremmo dire che tendenzialmente un genitore
simula un buon adattamento. La
possibilità di fare riferimento alla simulazione con una tale accezione è di derivazione
psicologica e per tradizione legata alle ricerche effettuate fin dagli anni
’30 nell’ambito della personalità e della testistica[8]. Ciò fa riflettere sulla necessità di ripensare al concetto di simulazione e di
esplicitarne le possibili declinazioni in modo da rendere chiaro il ricorso a
questo termine nei diversi contesti applicativi. Forse, sarebbe più corretto
considerare la forma di simulazione della psichiatria classica (simulazione di
malattia mentale), così come la simulazione di buon adattamento di tradizione
psicologica a cui abbiamo fatto da poco riferimento, come fattispecie di una classe
più ampia di fenomeni possibili, che vengono ad essere compresi all'interno
della categoria generale della simulazione, a partire in fondo dal suo
significato originario, cioè mostrare le
cose diverse da come sono [9].
Guardiamo il diagramma
sotto:
Questa esemplificazione
mostra la genealogia, a partire da una macro categoria, di diverse forme di simulazione che possiamo far confluire all’interno di una ulteriore sottocategoria,
poiché accomunate dall’essere “orientate ad uno scopo”: il primo caso si
riferisce a ciò di cui si occupa da più di un secolo la psichiatria forense, la
simulazione di malattia mentale, il secondo caso si riferisce invece ad un
fenomeno osservabile in diversi contesti valutativi, tra cui quello oggetto del
presente lavoro.
Ciò che potrebbe inizialmente apparire come un semplice disguido linguistico, un problema terminologico o di definizioni, in realtà serve ad esplicitare l’uso clinico e forense di un termine che è normalmente utilizzato dagli psicologi, talora senza una riflessione sistematica in proposito.
Articolo di Stefano Giannini, è permessa la riproduzione parziale e totale citando la fonte.
Ciò che potrebbe inizialmente apparire come un semplice disguido linguistico, un problema terminologico o di definizioni, in realtà serve ad esplicitare l’uso clinico e forense di un termine che è normalmente utilizzato dagli psicologi, talora senza una riflessione sistematica in proposito.
Si potrebbe obiettare a
questo ragionamento che la simulazione di buon adattamento altro non è che una dissimulazione di cattivo adattamento,
dicitura anche questa ampiamente utilizzata in psicologia, ma non è così. La
simulazione di buon adattamento comincia dove finisce la dissimulazione di
cattivo adattamento. Un soggetto può dissimulare patologie, mancanze, deficit,
e quant’altro ma non automaticamente produrrà una attività simulatoria. Simulazione
e dissimulazione rappresentano in sostanza due diverse strategie di alterazione
della realtà. La differenza consiste nel fatto che chi dissimula compie uno
sforzo attivo nel nascondere informazioni, quindi mente senza dire nulla di
falso, chi simula, invece, presenta in maniera attiva come vere informazioni alterate[10]. La
dissimulazione si esplica quindi attraverso l’omissione, ad esempio attraverso
la reticenza e il silenzio oppure attraverso l’occultamento, cioè fornendo, in maniera non attiva, informazioni fuorvianti al fine di fare assumere false credenze [11].
Articolo di Stefano Giannini, è permessa la riproduzione parziale e totale citando la fonte.
[1] Come
vedremo più avanti, solo in forma minore questo problema riguarda la
dissimulazione.
[2]
Cfr.: La simulazione era l’errata interpretazione medica, da parte degli
organicisti, delle nevrosi. Vedi: S. Freud, Studi sull’isteria in Opere,
Bollati Boringhieri – Jung CG. Simulazione di malattia mentale.Bollati
Boringhieri, 1973 - Bleuler E., Trattato di psichiatria, Feltrinelli, 1967.
[3]
Callieri B, Semerari A. La simulazione di malattia mentale. Roma: Abruzzini
Editore, 1959
[4] CAIALLELLA
– RINALDI, Simulazione e dissimulazione pag. 556 «processo psicologico caratterizzato dalla decisione cosciente di
riprodurre, imitandoli, sintomi patologici e di mantenere tale imitazione per
un tempo più o meno lungo con l’aiuto di uno sforzo continuo fino al
conseguimento dello scopo, ovvero fino a quando il simulatore non si renda
conto dell’inutilità del suo atteggiamento» in GIUSTI Giusto (a cura di),
Trattato di medicina legale e scienze affini, Vol. 4: genetica, psichiatria
forense e criminologia, medicina del lavoro, Cedam 2009
[5] Come
nel DSM IV-TR, anche nel DSM-5 la Simulazione è inclusa fra le “Altre
condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, nel capitolo che
tratta: Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati, che comprende il
Disturbo da sintomi somatici, il Disturbo da ansia di malattia, il Disturbo di
conversione (Disturbo da sintomi neurologici funzionali) e il Disturbo
fittizio.
[6] MASTRONARDI
V., DEL CASALE A., Simulazione di malattia mentale, Il Pensiero Scientifico
Editore, 26 Sep 2016.
[7]
artt. 88 ed 89 c.p.
[8]
Cfr.: Hathaway e McKinley, 1928 – Hartshorne, May, Shuttleworth, 1930 - vedi:
Autodescrizione Idealizzata, pagg.34-35 Minnesota Multiphasic Inventory -2 –
Giunti OS.
[9] Dizionario Garzanti della Lingua Italiana:
1) manifestare sentimenti insinceri; mostrare le cose diverse da come sono: es:
simulava di essere contento. SIN.:
fingere 2) imitare: es: sapeva simulare
il canto degli uccelli.
[10] Ekman
P., I volti della menzogna: gli indizi dell’inganno nei rapporti
interpersonali, negli affari, nella politica, nei tribunali, Giunti 1995.
[11] Anolli
L., Mentire, Bologna, Il Mulino 1997
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