Comunicazione, propaganda e controllo delle masse

L'immagine che le persone hanno della psicologia è quella di una disciplina che studia la mente e il comportamento dell'uomo, che trova applicazione negli ambiti della clinica e della salute. In realtà questa è solo una parte di verità. Il corpus di conoscenze della psicologia trova applicazione nei più disparati ambiti della vita quotidiana, nella maggior parte dei casi "a nostra insaputa", e l'ambito di maggiore applicazione è sicuramente quello del marketing, della pubblicità, della comunicazione. Lo sviluppo della psicologia in questi settori ha accompagnato tutto il XX secolo ed ha coinciso con l'evoluzione dei mezzi di comunicazione di massa, permettendo la nascita di una vera e propria scienza: la scienza della "propaganda" moderna. Con questo termine si fa riferimento ad una serie di attività che mettono in relazione due gruppi di persone, uno dei quali ha lo scopo di convincere o indirizzare (in alcuni casi sarebbe opportuno dire manipolare) l'altro verso scelte affini a determinati interessi. Non è un caso infatti che la scienza della propaganda abbia avuto un notevole sviluppo in ambito politico... 
Per avere un'idea di ciò di cui stiamo parlando vi consiglio vivamente di guardare uno splendido documentario dal titolo "The century of the self" (Il secolo del sé) di Adam Curtis. 







 Lettura consigliata: Propaganda - Autore: Edward Bernays

cos'è uno spin doctor?

Lo Spin doctor - la cui traduzione secondo il dizionario della Oxford  University Press suona "persona incaricata di presentare le scelte di un partito politico sotto una luce favorevole" - è una voce che nel corso del novecento è andata assumendo un significato deteriore. Poiché spin è il termine usato nel gioco del baseball per indicare il moto rotatorio o effetto impresso dal lanciatore alla palla, "spin doctor" è definizione che è venuta a indicare l'autore di raggiri o il manipolatore di parole o notizie. Con esso si indicano in politica sempre più spesso i portavoce e i consiglieri degli uomini politici e, a volte, gli stessi uomini politici.
Introduzione storica
Il primo spin doctor della storia è Ivy Lee (soprannominato Poison Ivy per via della sua spiccata capacità di "avvelenare" l'informazione), che nel 1906 pubblica la Dichiarazione dei principi delle pubbliche relazioni (PR). Benché ufficialmente seguisse una linea di onestà e trasparenza, è diventato famoso per aver protetto il magnate John D. Rockefeller dall'accusa di omicidio nel 1914. Rockefeller aveva infatti assoldato alcuni agenti della Guardia del Colorado per sedare uno sciopero: durante l'assalto al campo degli scioperanti rimasero uccise 20 persone. Lee diffuse una versione modificata dei fatti per coprire Rockefeller, dando origine alle moderne tecniche di spin.

Un altro esponente di spicco dello spin è stato Edward Bernays, nipote di Freud, che nel 1928 pubblica L'ingegneria del consenso, nel quale teorizza la pratica dello spin con lucida attenzione. Si distinse per la prima volta nella difesa dell'industria del tabacco nel 1929, durante la quale inventa la figura della femme fatale secondo una semplice equazione: fumo=emancipazione. Molte femministe tutt'oggi ignorano che l'ideale della donna fumatrice emancipata è stato creato a tavolino. Un secondo successo di Bernays fu la campagna a favore dei produttori di bacon statunitensi: le sue idee ebbero un tale successo che ancora oggi la colazione fatta con uova e pancetta è considerata un classico americano. Bernays sviluppò e affinò la tecnica detta "della terza parte", che prevede di rilasciare notizie prodotte da enti/personalità estranee (in apparenza) alla campagna in corso, ma in realtà sapientemente "istruite" su cosa devono dire. Per ironia della sorte uno dei maggiori estimatori di Bernays fu Paul Joseph Goebbels, ministro della propaganda di Hitler, che applicò alla lettera le sue teorie per creare consenso popolare attorno al regime nazista.

Meritano una menzione, nell'analisi del fenomeno, anche: Walter Lippman, autore nel 1922 del libro L'opinione pubblica, in cui critica aspramente la già diffusa abitudine dei governi di manipolare l'informazione; e Daniel Boorstin il quale, nel suo saggio L'immagine sancisce una sostanziale differenza fra quei fatti che lui chiama "creati da Dio" e quelli "creati dall'uomo". Nel 1962 conierà il termine pseudoeventi per definire quegli eventi orchestrati ad arte dai manipolatori dei media per distrarre l'attenzione del pubblico.

Compiti dello spin doctor

I compiti dello spin doctor sono diversificati, ma tutti riconducibili ad una radice comune: "massaggiare il messaggio", cioè estrarre il meglio da qualsiasi situazione in cui sia implicato il suo committente, fornendo ai giornalisti e ai media una versione "aggiustata" di un evento-notizia in veste volta per volta di consigliere per la comunicazione, capo ufficio stampa, portavoce o campaign manager.

1.Lo spin doctor sa gestire una crisi con messaggi o tattiche comunicative ad hoc, specialmente nel settore della politica, nei confronti ad esempio di una decisione impopolare, correggendo e smussando eventuali incaute prese di parola del politico che assiste, e fornendo ai media (e quindi all’opinione pubblica) l’interpretazione sexed up delle esternazioni del soggetto per cui lavora, al fine di evitargli critiche o comunque commenti malevoli.
2.Un'altra attività dello spin doctor è fornire notizie "informali" ai giornalisti, facendole passare per "confidenze" o facendole filtrare come notizie "anonime".
3.Altro compito dello spin doctor è promuovere l’immagine di un soggetto come se fosse un prodotto, utilizzando tecniche di marketing.
4.A volte può succedere di dover "creare" un evento che possa dare interessare e convincere l'opinione pubblica: è il news management, ovvero l'informazione gestita.
Le attività dello spin doctor, quindi, in un certo senso riassumono e per altro verso travalicano gli incarichi del tradizionale addetto stampa e del consulente d’immagine.


La duplice natura dello spin doctor

Lo spin doctor è senza dubbio un professionista, spesso con un curriculum ed un bagaglio culturale notevoli, solitamente proveniente dai ranghi dei consulenti di marketing.
Allo stesso tempo, proprio per la peculiare attività di "massaggiatore" dei messaggi o "creatore" di candidati elettorali (nell'ambito della cd. personalizzazione della competizione elettorale), deve essere indifferente alla verità dei fatti, e per di più essere in grado di manipolare tale verità, rendendola attraente all'occhio del pubblico. Come Giano bifronte, lo spin doctor ha il duplice ruolo di professionista mediatore della comunicazione, e di "genio del male", una specie di ammaestratore di notizie, un regista degli effetti speciali creativo e al tempo stesso bugiardo, sempre comunque coerente con il proprio impegno lavorativo. Lo spin doctor è ad esempio colui che suggerisce alla stampa di non titolare in prima pagina "Aumento delle tasse" ma "Riassetto fiscale".


Psicologia delle masse

Gli sviluppi della psicologia delle masse ai primi del '900 
 « [Oggi], una penna è sufficiente ad azionare milioni di lingue »
 (Gabriel Tarde, 1901)
Robert Ezra Park,uno dei maggiori sociologi degli Stati Uniti, nel 1904 scrisse "La folla e il pubblico". Park portava Le Bon in America e, dopo aver affrontato il tema dello sviluppo dei media, notò come l'opinione pubblica stesse diventando sempre meno distinguibile dalla mente delle masse:

"la cosiddetta opinione pubblica è generalmente niente più che un semplice impulso collettivo che può essere manipolato dagli slogan. ... Il giornalismo moderno, che dovrebbe istruire e dirigere l'opinione pubblica riportando e discutendo gli eventi, solitamente si sta rivelando come un semplice meccanismo per controllare l'attenzione della collettività. L'opinione che si viene a formare in questa maniera, ha una forma logicamente simile al giudizio derivato da una percezione irriflessiva: l'opinione si forma direttamente e simultaneamente alla ricezione dell'informazione”

Nel 1908 nasce ufficialmente la Psicologia sociale: gli autori sono l'americano Edward Alsworth Ross e il britannico William McDougall (in quell' anno pubblicarono due libri con lo stesso titolo, "Social Psychology"). Nel libro di Ross si rende noto come i nuovi media abbiano la facoltà, senza precedenti nella storia dell'uomo, di "annichilire lo spazio", e di rendere possibile l'uniformità della moderna opinione pubblica:

"La presenza non è essenziale per la suggestione della massa. Il contatto mentale non è più vincolato dalla prossimità fisica... I nostri espedienti annullano lo spazio, rendono uno shock quasi simultaneo. Un vasto pubblico condivide la stessa rabbia, allarmi, entusiasmi e orrori. Quindi, quando una parte della massa viene a conoscenza dei sentimenti della restante parte, le sensazioni si generalizzano e si intensificano."

Nello stesso anno Graham Wallas, prestigioso docente di Harvard ed insegnante, tra gli altri, del giovane Walter Lippman, pubblicò "Human Nature in Politics":

"Chiunque cerchi di basare il suo pensiero politico su di un riesame del funzionamento della natura umana, deve iniziare col tentare di superare la tendenza alla sopravvalutazione delle facoltà intellettive della razza umana [...] Possiamo assumere che ogni azione umana è il risultato di un processo intellettuale, attraverso il quale l'uomo prima pensa ad un fine desiderato e dopo calcola gli strumenti attraverso i quali quell'obbiettivo può essere raggiunto. [...] L'empirica arte della politica consiste largamente nella creazione di opinioni, nel deliberato sfruttamento delle inferenze subconscie e non-razionali"
« Le elezioni popolari possono funzionare nella misura in cui non vengano sollevate quelle questioni che permettono ai detentori della ricchezza e del potere industriale di fare pieno uso delle proprie possibilità. Se i ricchi di qualunque stato moderno pensano che valga la pena ... di sottoscrivere un terzo dei propri introiti in fondi politici, nessun Corrupt Practices Act già inventato gli impedirà di spenderli. Se così faranno, c'è tanta di quella abilità da essere acquistata, e l'arte di utilizzare l'abilità per la produzione di emozioni ed opinioni si è talmente sviluppata, che l'intera condizione dei contesti politici sarebbe destinata a cambiare nel futuro »
 (Graham Wallas, 1909)

Psicologia delle folle

Fine XIX secolo: nascita della Psicologia delle folle (o delle masse)
I primi studi di psicologia delle folle sono una conseguenza degli sviluppi a cui andarono incontro le società dell'Occidente nel corso del XIX secolo, e non è un caso che vengano dalla Francia: sia lo psicologo sociale Gustave Le Bon che l'amico e collega Gabriel Tarde appartenevano a quella generazione di borghesia illuminata e stanca di lotte che aveva assistito alla Comune di Parigi (1870) e alla crescita politica del socialismo.
Gustave Le Bon, 
saggista e positivista francese, con "La Folla: Studio della mentalità popolare" (1895), pone le fondamenta della Psicologia delle masse. Il libro ebbe un vasto successo, tradotto in inglese l'anno dopo, ristampato più volte nei decenni successivi, divenne una sorta di manuale utilizzato per gli studi di psicologia sociale. Nel libro si spiega come "l'opinione delle masse", dopo essere stata soppressa con successo per quasi tutta la storia dell'umanità, sia ormai diventata incontenibile.
 « L'ingresso delle classi popolari nella vita politica è una delle più sorprendenti caratteristiche di questa nostra epoca di transizione. [...] .Le masse stanno creando sindacati davanti ai quali le autorità capitolano un giorno dopo l'altro... Oggi le rivendicazioni delle masse ... mirano a distruggere completamente la società come adesso esiste, con l'intenzione di tornare indietro a quel comunismo primitivo che era la condizione normale di tutti i gruppi umani prima dell'avvento della civilizzazione. Il diritto divino delle masse sta rimpiazzando il diritto divino dei re. [...] E' solo studiando la psicologia della folla che si può comprendere che le azioni della legge e delle istituzioni su di loro sono insignificanti, che loro [i popolani] sono incapaci di sostenere un'opinione qualunque se non quelle che gli vengono imposte, e che non è con le leggi basate sulle teorie della pura eguaglianza che essi vanno guidati, bensì con lo studio di ciò che li impressiona e li seduce. »
 (G. Le Bon, 1895)
Finora gli effetti caotici dell'irrazionalità dell'uomo erano stati contenuti dalla rigida gerarchia sociale e dalla guida dei pochi intelligenti. Ma i tempi stavano portando le masse in politica e vedevano il declino delle gerarchie religiose e sociali.
Nel 1887 il sociologo tedesco Ferdinand Tonnies in Gemeinschaft und Gesellschaft (Comunità e Società), descrivendo la rivoluzione in corso d'opera della società e del mondo delle comunicazioni, aveva indicato nella stampa uno straordinario strumento per la manifattura dell'opinione pubblica, un canale attraverso il quale un gruppo particolare avrebbe potuto “presentare la propria volontà come la razionale volontà generale” .
 « In questa forma di comunicazione, i giudizi e le opinioni sono impacchettati come gli articoli delle drogherie e offerti per il consumo nella loro obbiettiva realtà ... preparati e offerti alla nostra generazione nel miglior modo possibile dai giornali, che rendono possibile la più veloce delle produzioni, delle moltiplicazioni e delle distribuzioni di fatti e pensieri, proprio come la cucina di un albergo prepara cibo e vivande in tutte le forme e quantità immaginabili. [...] La stampa è il vero organo dell'opinione pubblica, un'arma ed uno strumento nelle mani di coloro che sanno come utilizzarla e devono utilizzarla. Essa è comparabile, ed in un certo senso superiore, alla forza materiale posseduta dai governi con i loro eserciti, i loro tesori e la loro burocrazia. A differenza di questi infatti, la stampa non ha confini naturali ma, nelle sue tendenze e nelle sue potenzialità, è decisamente internazionale, e quindi comparabile al potere di una permanente o temporanea alleanza fra stati.»
Gabriel Tarde, famoso sociologo e criminologo francese, professore di filosofia moderna al Collège de France, nel 1901 contraddisse l'amico Le Bon là dove questi considerava preponderante la voce delle masse: la folla era infatti per Tarde "il gruppo sociale del passato". Era il pubblico, il "gruppo sociale del futuro". Il pubblico moderno era un'entità un po' diversa dalla massa: più ristretta, economicamente superiore, lontano dalla piazza, dalle conversazioni faccia-a-faccia e dal dibattito politico diretto. Si trattava essenzialmente di "una collettività spirituale, una dispersione di individui fisicamente separati la cui coesione è interamente mentale".
 « La stampa unifica e rinvigorisce le conversazioni... Ogni mattina i giornali forniscono al proprio pubblico le conversazioni del giorno... questa crescente somiglianza di conversazioni simultanee in un sempre più vasto dominio geografico è una delle più importanti caratteristiche del nostro tempo. [...] I giornali hanno unificato nello spazio e diversificato nel tempo le conversazioni degli individui. ... Anche coloro che non leggono giornali, parlando con quelli che lo fanno, sono costretti a seguire il solco tracciato dai pensieri presi in prestito di quelli...»
Gli studi di Le Bon e Tarde arrivarono subito negli Stati Uniti, il cui ordine sociale era travagliato quanto quello europeo. Uno dei primi e maggiori sostenitori di Gustave Le Bon in America fu proprio il presidente Theodore Roosevelt: nel corso della sua presidenza (1901-1908) "teneva gli scritti del francese sempre a portata di mano", e fu dopo numerose insistenze del presidente che alla fine i due si incontrarono nel 1914.

"PROPAGANDA"

« La manipolazione consapevole ed intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che ha il vero potere di governare nel nostro paese. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questa è la conseguenza logica del modo in cui è organizzata la nostra società democratica »
 (Edward Bernays, 1923)




Edward Bernays e la nascita della scienza delle pubbliche relazioni

Edward Bernays, "l'architetto delle moderne tecniche di propaganda” nonché padre della Scienza delle Pubbliche Relazioni (Ewen, p.3), scrisse opere fondamentali per la storia della propaganda moderna quali "Crystallizing Public Opinion" e "Propaganda" (1923 e 1928):

 « La manipolazione consapevole ed intelligente delle abitudini organizzate e delle opinioni delle masse è un elemento importante in una società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che ha il vero potere di governare nel nostro paese. Veniamo governati, le nostre menti vengono modellate, i nostri gusti influenzati, le nostre idee suggerite per la maggior parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare. Questa è la conseguenza logica del modo in cui è organizzata la nostra società democratica »
 (Edward Bernays, 1923)

"La mente collettiva non ragiona nel vero senso del termine. Al posto dei pensieri ha gli impulsi, le abitudini e le emozioni ... il suo primo impulso è solitamente quello di seguire l'esempio di un leader fidato. Questo è uno dei principi basilari della psicologia di massa" (propaganda, p.53).

Nell'illustrare tale meccanismo Bernays pone ad esempio un lavoro pubblicitario elaborato per conto di un produttore di carne allo scopo di aumentare le vendite di beacon. La vecchia pubblicità avrebbe recitato"Mangia il beacon perché è economico, perché è buono, perché ti dà energia". Ma ruotando semplicemente sulle caratteristiche intrinseche del prodotto, "le conseguenze di questa campagna sarebbero minime".Un approccio migliore sarebbe quello di "radicare la campagna pubblicitaria nell'analisi delle strutture collettive della società e dei principi della società di massa". Il moderno pubblicista dovrebbe allora chiedersi"Chi influenza le abitudini alimentari del pubblico?". La risposta è "il medico generico!". Il PR (Public Relations counsellor) dovrà allora tentare di persuadere i medici generici "a dire pubblicamente che mangiare beacon è salutare". Il pubblicista sa "con matematica certezza che un gran numero di persone seguirà il consiglio dei propri dottori, perché comprende le relazioni psicologiche di dipendenza tra gli uomini e i loro medici" (Propaganda, pp.53-54).

Lo specialista delle pubbliche relazioni dev'essere uno studioso dei media e delle reti di comunicazione, deve conoscere la sociologia e l'antropologia e indagare costantemente le abitudini culturali dei vari strati della popolazione, perché si dovrà spiegare al pubblico "con termini che il pubblico possa capire e sia propenso ad accettare" (p.65).

Bernays faceva sua la teoria dell'istinto già formulata da Trotter: "Gli individui ed il gruppo sono guidati da un numero veramente basso di desideri, istinti ed emozioni fondamentali ... Il sesso, l'istinto gregario, il desiderio di dirigere, gli istinti materni e paterni", argomenti sui quali l'esperto "può basare le sue proposte di vendita". Per arrivare al cuore del pubblico l'esperto deve abbandonare ogni tentativo di ragionare con esso, "le discussioni astratte e gli argomenti pesanti ... non possono essere dati al pubblico se non previamente semplificati e drammatizzati"

Propaganda e potere politico


Walter Lippmann e la "fabbrica del consenso"


Nel 1922 esce Public Opinion di Walter Lippmann, dove viene coniato il famigerato concetto di “fabbrica del consenso”:

"Nella maggior parte dei casi noi non siamo soliti vedere e poi definire. Noi prima definiamo e poi vediamo. In quella gran ... confusione che è il mondo esterno, noi siamo portati a riconoscere ciò che la nostra cultura ha già definito per noi, e tendiamo a percepire ciò che abbiamo riconosciuto nella forma stereotipata per noi dalla nostra cultura. [...] Immaginiamo molte cose prima di averne avuto esperienza diretta. E questi preconcetti ... governano profondamente l'intero processo di percezione " (p.81, 90)
Lippmann considerava necessari allo sviluppo della moderna "fabbrica del consenso" l'utilizzo delle moderne tecnologie di comunicazione di massa, non solo la parola della carta stampata ma anche e soprattutto la fotografia ed la nuova industria holliwodiana. Partendo dalle previe analisi della psicologia sociale sul potere dei simboli nella mente delle folle, Lippmann enfatizzava l'importanza dei processi di identificazione nella vita psichica dei ricettori. Nel The Phantom Public del 1927 la formula di Lippmann per le leadership era:
 « L'elaborazione di una volontà generale da una moltitudine di desideri generali è ... un'arte ben conosciuta a leader, politici e comitati direttivi. Consiste essenzialmente nell'utilizzo di simboli che costruiscono le emozioni dopo averle staccate dalle rispettive idee. Poiché i sentimenti sono molto meno specifici delle idee ... il leader è capace di ottenere una volontà omogenea da un'eterogenea massa di desideri. Il processo attraverso il quale le opinioni generali sono spinte alla cooperazione consiste nell'intensificazione dei sentimenti e una parallela degradazione dei significati »
 (Walter Lippmann, 1922)

La giustificazione del realismo democratico stava nella natura irrazionale delle masse:

 
« Il singolo non ha un'opinione su tutte le questioni pubbliche...Non sa come dirigere i pubblici affari...Non sa che cosa succede, perché succede, che cosa dovrebbe succedere. Non riesco ad immaginare come potrebbe, né esiste la benché minima ragione per credere, come hanno fatto i democratici mistici, che il mescolio delle ignoranze individuali in masse di persone possa produrre una forza continua che imprima una direzione alle questioni pubbliche [...] Il pubblico deve essere tenuto al suo posto, non solo perché possa esercitare i suoi poteri, ma ancor di più per consentire ad ognuno di noi di vivere libero dallo scalpiccio e dal rumore del gregge disorientato »
 (Walter Lippmann, 1922)

Lippmann suggerisce di gestire il rapporto tra le autorità e la popolazione (o il pubblico) attraverso la fruizione di segni di natura semplice, capaci di colpire emotivamente la collettività e di condurla alle stesse conclusioni che gli esperti hanno previamente elaborato per via razionale:

"I segni devono avere un carattere tale da essere riconosciuti e compresi senza la necessità di un sostanziale sguardo alla sostanza del problema ... devono essere segni che diranno ai membri del pubblico dove conviene allinearsi per promuovere la soluzione [del problema]. In breve, devono essere guide per azioni ragionevoli ad uso di persone disinformate" (p.77-78)

Inoltre, continua Lippmann, "senza una qualche forma di censura, la propaganda nello stretto senso della parola non è attuabile. Per condurre una propaganda ci dev'essere una qualche forma di barriera tra il pubblico e gli eventi. L'accesso agli ambienti [dell'informazione] dev'essere limitato, così da evitare che qualcuno possa creare uno pseudo-ambiente da sè e ritenerlo giusto o desiderabile"


Tecniche di produzione della propaganda



Numerose tecniche vengono usate per creare messaggi falsi ma persuasivi. In molte di queste tecniche si possono trovare anche falle logiche, in quanto i propagandisti usano argomenti che, anche se a volte convincenti, non sono necessariamente validi.
Del tempo è stato speso per analizzare i mezzi con cui vengono trasmessi i messaggi propagandistici, e questo lavoro è importante, ma è chiaro che le strategie di disseminazione dell'informazione diventano strategie di diffusione della propaganda solo quando sono accoppiate a messaggi propagandistici. Identificare questi messaggi è un prerequisito necessario per studiare i metodi con cui questi vengono diffusi. Ecco perché è essenziale avere qualche conoscenza delle seguenti tecniche di produzione della propaganda:
Ricorso alla paura:  Il ricorso alla paura cerca di costruire il supporto instillando paura nella popolazione. Per esempio Joseph Goebbels sfruttò la frase «I tedeschi devono morire!», di Theodore Kaufman, per sostenere che gli alleati cercavano la distruzione del popolo tedesco.
Ricorso all'autorità: Il ricorso all'autorità cita prominenti figure per supportare una posizione, idea, argomento o corso d'azione.
Effetto gregge: L'effetto gregge o l'appello alla "vittoria inevitabile" cercano di persuadere il pubblico a prendere una certa strada perché "tutti gli altri lo stanno facendo", "unisciti alla massa". Questa tecnica rafforza il naturale desiderio della gente di essere dalla parte dei vincitori. Viene usata per convincere il pubblico che un programma è espressione di un irresistibile movimento di massa e che è nel loro interesse unirsi. La "vittoria inevitabile" invita quelli non ancora nel gregge ad unirsi a quelli che sono già sulla strada di una vittoria certa. Coloro che sono già (o lo sono parzialmente) nel gregge sono rassicurati che restarci è la cosa migliore da farsi.
Ottenere disapprovazione: Questa tecnica viene usata per portare il pubblico a disapprovare un'azione o un'idea suggerendo che questa sia popolare in gruppi odiati, temuti o tenuti in scarsa considerazione dal pubblico di riferimento. Quindi, se un gruppo che sostiene una certa politica viene indotto a pensare che anche persone indesiderabili o sovversive lo appoggiano, i membri di tale gruppo possono decidere di cambiare la loro posizione.
Banalità scintillanti: Le "banalità scintillanti" sono parole con un'intensa carica emotiva, così strettamente associate a concetti o credenze di alto valore, che portano convinzione senza supportare informazione o ragionamento. Esse richiamano emozioni come l'amore per la patria, la casa, il desiderio di pace, la libertà, la gloria, l'onore, ecc. Chiedono approvazione senza esaminare la ragione. Anche se le parole o le frasi sono vaghe e suggeriscono cose differenti a persone differenti, la loro connotazione è sempre favorevole: "I concetti e i programmi dei propagandisti sono sempre, buoni, auspicabili e virtuosi".
Razionalizzazione: Individui o gruppi possono usare generalizzazioni favorevoli per razionalizzare atti o credenze. Frasi vaghe e piacevoli sono spesso usate per giustificare tali atti o credenze.
Vaghezza intenzionale: le generalizzazioni sono sempre vaghe, in modo che il pubblico possa fornire la propria interpretazione. L'intenzione è quella di muovere il pubblico tramite l'uso di frasi indefinite, senza analizzare la loro validità o tentare di determinare la loro ragionevolezza o applicabilità.
Transfer: Questa è una tecnica di proiezione di qualità positive o negative (lodare o condannare) di una persona, entità oggetto o valore (un individuo, gruppo, organizzazione, nazione, il patriottismo, ecc.) ad un altro soggetto per rendere quest'ultimo più accettabile o per screditarlo. Questa tecnica viene generalmente usata per trasferire il biasimo da un attore del conflitto all'altro. Evoca una risposta emozionale che stimola il pubblico ad identificarsi con l'autorità riconosciuta.
Ipersemplificazione: generalizzazioni favorevoli sono utilizzate per fornire risposte semplici a problemi sociali complessi, politici, economici o militari.
Uomo comune: L'approccio dell'"uomo comune" tenta di convincere il pubblico che le posizioni del propagandista riflettano il senso comune della gente. Viene designato per vincere la confidenza del pubblico comunicando nel suo stesso stile. I propagandisti usano un linguaggio e un modo di fare ordinari (e anche gli abiti nelle comunicazioni faccia a faccia o audiovisive) nel tentativo di identificare il loro punto di vista con quello della persona media.
Testimonianza: Le testimonianze sono citazioni, dentro o fuori contesto, dette specificamente per supportare o rigettare una data politica, azione, programma o personalità. La reputazione e il ruolo (esperto, figura pubblica rispettata, ecc.) dell'individuo che rilascia la dichiarazione vengono sfruttati. La testimonianza pone la sanzione ufficiale di una persona rispettata o di un'autorità sul messaggio propagandistico. Questo viene fatto in un tentativo di far sì che il pubblico si identifichi con l'autorità o che accetti le opinioni e le convinzioni dell'autorità come se fossero sue.
Stereotipizzazione o Etichettatura: Questa tecnica tenta di far sorgere pregiudizi nel pubblico etichettando l'oggetto della campagna propagandistica come qualcosa che la gente teme, odia, evita o trova indesiderabile.
Individuare il Capro espiatorio: Colpevolizzare un individuo o un gruppo che non è realmente responsabile, alleviando quindi i sentimenti di colpa delle parti responsabili o distraendo l'attenzione dal bisogno di risolvere il problema per il quale la colpa è stata assegnata.
Parole virtuose: Sono parole appartenenti al sistema di valori del pubblico, che tendono a produrre un'immagine positiva quando riferite ad una persona o ad un soggetto. Pace, felicità, sicurezza, guida saggia, libertà, ecc., sono parole virtuose.
Slogan: Uno slogan è una breve frase ad effetto che può includere la stereotipizzazione o l'etichettatura.

STORIA DELLA PSICOLOGIA CLINICA

Di cosa si occupa la psicologia clinica:
La psicologia clinica comprende lo studio scientifico e le applicazioni della psicologia in merito alla comprensione, prevenzione ed intervento nelle problematiche psicologiche e relazionali, a livello individuale, famigliare e gruppale, compresa anche la promozione del benessere psicosociale e la gestione (valutativa e di sostegno) di molte forme di psicopatologia.

A differenza di quello sperimentale, il metodo clinico utilizza il rapporto interpersonale come strumento di conoscenza. 

Le radici della psicologia clinica
La psicologia clinica fonda le sue radici in due differenti tradizioni della psicologia nate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento in Europa: la ricerca psicometrica e differenziale, la psicodinamica.

Come abbiamo visto nella sezione Storia della psicologia a partire dalla metà dell’Ottocento, la psicofisica aveva messo a punto delle tecniche per misurare i fenomeni psicologici attinenti alle percezioni e sensazioni. 
Nel 1883 lo studioso Inglese Francis Galton (1822-1911)
cugino di Charles Darwin, usò in maniera originale alcune modalità di indagine delle differenze intellettive individuali. Egli aveva raccolto una grande quantità di dati sugli aristocratici, i grandi professionisti e i docenti universitari, che vennero analizzati statisticamente usando il principio della probabilità e della curva normale di distribuzione delle differenze individuali. I risultati delle sue ricerche lo portarono alla pubblicazione, nel 1869, di Hereditary Genius in cui formulava la sua tesi fondamentale, secondo cui  l’intelligenza è un fattore ereditario. Spinto dalla necessità primaria di sviluppare tecniche oggettive per l’identificazione delle persone dotate, nel 1884 (sulla scia di Quetelet e Wundt), Galton attivò a Londra un laboratorio antropometrico dove potevano essere misurati 17 differenti “processi psicologici elementari” come la velocità con cui un individuo era in grado di sferrare un colpo, il livello di acutezza visiva ecc.

James Mc Keen Cattel (1860-1944)
psicologo statunitense, a partire dal 1890 (dopo la formazione con Wundt e poi con Galton con ricerche sulla teoria gaussiana della distribuzione normale), iniziò un lavoro di misurazione delle differenze individuali tramite lo studio di fenomeni psicologici molto circoscritti come la percezione del dolore, la differenza tra i pesi ecc. Nel 1890 introdusse il termine test mentale. Sempre nello stesso periodo Cattel costituì una prima organizzazione, la Psychological Corporation, in grado di offrire le prime applicazioni psicometriche in campo industriale ed educativo (Korchin, 1976; Reuchlin, 1991).  

Nei primi del Novecento Alfred Binet mise in discussione il metodo di Galton e Cattel in quanto non si era rivelato utile nel predire e discriminare le caratteristiche psichiche. Nel saggio Psychologie individuelle del 1896 Binet e Henri affermarono che il modo migliore per discriminare gli individui consisteva nel rilevare le loro capacità psicologiche superiori. Nel 1905 Binet, su mandato della Pubblica Istruzione Francese, propose la prima edizione della scala per la misurazione delle capacità intellettive: Misurazione di dimensioni psicologiche di abilità cognitive.

La tradizione psicodinamica propose una nuova idea del funzionamento psichico non interamente riconducibile ai meccanismi biologici e fisiologici, come ipotizzato dal filone medico-psichiatrico, bensì regolato da sistemi dinamici di tipo motivazionale, indagabili solamente attraverso metodi psicologici. L’interesse si rivolse dunque alle teorie psicodinamiche della personalità, intesa come un sistema integrato non riconducibile a substrati biologici e neurofisiologici (Ellenberger, 1970). La prospettiva psicodinamica prese avvio, da un lato dal lavoro di Théodule Ribot (1839-1916), Pierre Janet (1859-1947) e Gorge Dumas (1866-1946), studiosi appartenenti ad un’area di studi riguardante la Psycologie pathologique, particolarmente fiorente in quegli anni in Francia alla Sorbona di Parigi e al Collège de France, dall’altro, dal lavoro di Auguste Ambroise Liébealt (1823-1904), Hippolyte Bernheim (1840-1919), Jean Martine Charcot (1825-1893), Eugene Bleuler (1857-1939) e Sigmund Freud (1856-1939) esponenti di prestigio, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, degli studi medici e psicopatologici, afferenti al campo della neurologia clinica ( Boring, 1950; Ellenberger, 1970).

Théodule Ribot
già docente di Psicologia alla Sorbona dal 1855, nel 1888 ottenne la prima cattedra francese di Psicologia sperimentale al Collège de France mantenendo l’incarico fino al 1896. Egli inaugurò una particolare tradizione di studi di psicologia patologica entro cui si formarono in seguito i suoi principali allievi, George Dumas e Pierre Janet, e di cui fondò una scuola. Egli, ritenendo la psicologia una scienza indipendente dalle altre discipline, ne studiò i fatti patologici, oggetto privilegiato della sua ricerca sperimentale, occupandosi non solo dei fenomeni, ma anche delle leggi del loro funzionamento e delle loro cause, utilizzando un metodo in grado di classificarli ed ordinarli. Riguardo lo sviluppo di tali fatti psicologici, individuò nel principio di dissoluzione l’elemento regolatore del funzionamento psicopatologico, attraverso cui era possibile intraprendere uno studio scientifico delle anomalie delle funzioni mentali, ovvero della patologia psicologica. Questo metodo, detto patologico, divenne potente strumento d’indagine sistematica, in quanto consisteva nell’osservazione pura del fatto psicopatologico così come manifestato dal comportamento della persona malata e della sperimentazione su di esso, per poter successivamente risalire al funzionamento psichico normale. L’elemento di fondo era dato dalla continuità tra normale e patologico, in quanto la patologia era determinata dagli stessi meccanismi che regolavano la vita psichica normale, e rappresentava dunque la specifica manifestazione di una regressione o di una deviazione dal funzionamento psichico normale, una sorta di ritorno a forme antecedenti di sviluppo e a livelli precedenti del sistema. Se l’osservazione del fatto patologico permetteva dunque di comprendere la psicologia normale, si presupponeva un’identità o una  continuità tra il normale ed il patologico, dimostrando che la comprensione dei fenomeni patologici non poteva limitarsi allo studio degli stati di coscienza accessori, né dello stato fisico, ma doveva cogliere i legami che potevano unire tali dimensioni, in quanto ogni fenomeno psicologico aveva un duplice aspetto sia fisico che patologico, ed uno solo di essi non esauriva la complessità e la globalità dell’individuo. Allo stesso modo, la fisiologia e la patologia erano considerate entrambe due modalità indispensabili per studiare il fatto psicologico nella sua globalità. Nella storia del pensiero psicopatologico e clinico in Europa, le idee di Ribot  possono essere considerate l’inizio della psicologia scientifica.

Contemporaneamente all’approccio psicologico di Ribot, si sviluppò in Francia la tradizione metodologica iniziata nel campo della neurologia clinica da Jean Martin Charcot
Egli fu uno degli iniziatori dello studio delle malattie neurologiche secondo il metodo anatomo-clinico, tramite il quale osservava attentamente i sintomi, i segni e il decorso di un disturbo collegandoli all’indagine anatomica post-mortem. Nel 1870, egli si trovò a dirigere un reparto della Salpêtrière che presentava due tipologie principali di pazienti: le epilettiche senza complicazioni psichiatriche e le isteriche. Per studiare quest’ultima patologia, Charcot utilizzava metodologicamente lo studio dei tipi ideali e delle frustes: i primi comprendevano quei casi che esprimevano la forma della malattia con tutto il corredo sintomatologico sviluppato; le frustes erano invece quelle forme che si differenziavano dai tipi perché non presentavano l’intera fenomenologia sintomatologica. In tal modo Charcot distinse le fasi ricorrenti delle malattie che studiava secondo un modello prototipico. Quest’attitudine clinica e classificatoria propria della metodologia dei tipi, risultava utile a Charcot come strumento didattico e, secondo questa prospettiva, giunse alla concezione secondo cui l’isteria era causata da lesioni dinamiche e funzionali del sistema nervoso e risultava associata all’ipnotizzabilità dell’isterica, per cui l’ipnosi risultava essere un fattore specifico nell’isteria. Su questa linea egli, da un lato utilizzò sistematicamente l’ipnosi per mettere in luce la fenomenologia dei fenomeni isterici, dall’altro suddivise l’isteria in stadi, ricercandone la tipologia ideale di manifestazione così come faceva con i disturbi del sistema nervoso. Charcot, nei suoi anni di direzione dei reparti di neurologia alla Salpêtrière promosse la collaborazione con studiosi di diversa formazione, come quella con il principale degli allievi di Ribot, Pierre Janet, il quale andò a lavorare con lui presso l’ospedale parigino a partire dal 1890.

Pierre Janet
a partire dalla sua tesi Automatisme psychologique del 1889 elaborò, all’interno della psicologia sperimentale obiettiva, una concezione metodologica fondata sull’attenta osservazione attuale dei gesti, degli atti e dei movimenti e sulla minuziosa raccolta della biografia di donne isteriche, definendo l’isteria una patologia di natura psichica, diversamente da molti studiosi contemporanei che l’attribuivano invece a disfunzioni fisiologiche. Nella prospettiva metodologica da lui proposta nel 1889, il metodo clinico procedeva mediante la combinazione di due momenti, da lui chiamati dell’analisi e della sintesi: il primo era rappresentato dall’osservazione dei fenomeni psicologici sintomatici e dall’individuazione dei loro elementi di base o costitutivi; il momento seguente, o della sintesi, risultava finalizzato alla ricostruzione storica e alla messa in relazione dinamica dei fenomeni psicopatologici precedentemente individuati nei loro primi elementi costitutivi (Ellenberger, 1970). Sulla base di questi presupposti, Janet elaborò una teoria dell’automatismo psicologico cosciente e subcosciente su cui fondò un’originale teoria psicodinamica della personalità. Egli definiva, infatti, la personalità normale come una sintesi e un’integrazione, relativamente stabile e ad un livello elevato, di idee, pulsioni, tendenze, forza e tensione (teoria dinamica), secondo cui la malattia mentale, come nel caso delle nevrosi (isteria e psicastenia), consiste nell’indebolimento della tensione psichica e in una dissociazione della sintesi personale che comporta una scissione dei significativi eventi esistenziali, generalmente causata da eventi traumatici del passato che diventano così subconsci (idee fisse subconsce), ai quali si poteva risalire attraverso l’ipnosi. Dirette conseguenze di tale processo consistono nel restringimento del campo di coscienza, che non permette a certi fenomeni psicologici di essere coscienti, nella compromissione della funzione del reale, a sua volta responsabile della capacità di agire, e nell’accentuazione di funzioni inferiori automatiche (Ellenberger, 1970). Janet introdusse inoltre il concetto di condotta intesa come comportamento globale, intenzionale ed intrinsecamente significante, contrapposto alla nozione di comportamento molecolare propria del primo comportamentismo nordamericano. Nel corso della sua ricerca, egli utilizzò in modo controllato l’ipnosi sia a scopo di ricerca, sia con un’esplicita finalità terapeutica e, in questo senso, la psicologia scientifica doveva occuparsi, secondo lui, dello studio dei fenomeni patologici ,  in vista di una sua possibile applicazione pratica. Perciò Janet, in Les médications psychologiques (1928), tentò una verifica degli interventi, effettuando una rigorosa analisi retrospettiva delle storie cliniche di un vasto numero di pazienti trattati con le terapie psicologiche (Ellenberger, 1970).
Da quanto emerso, è evidente l’apporto innovativo delle concezioni dinamiche della psicopatologia clinica di Janet. La sua teoria dei disturbi mentali rappresentò da un lato il superamento della tradizione organicista classica, e dall’altro un elemento di diversità rispetto all’impostazione psicoanalitica. Dalla sua teoria ne emerse una generale dei processi mentali, sia normali che patologici, basata sulle ricerche sia della psicopatologia che della psicologia sperimentale. In questa direzione si individuò nella teoria dinamica di Janet un tentativo di integrazione tra la psicologia e la psicopatologia, tra il normale e il patologico, riferibili ad una stessa teoria di funzionamento psicologico. Il suo contributo ha svolto un ruolo fondamentale per le concezioni organo-dinamiche di Ey, per i lavori neurofisiologici basati sul concetto di tensione , per lo studio delle condotte del behaviorismo, e per la formazione del pensiero di Jean Piaget. La psicologia janetiana rappresentò infine il filtro della penetrazione della psicoanalisi in Francia e una tappa fondamentale nello sviluppo della psichiatria dinamica.

Sigmund Freud
si recò per alcuni mesi, tra il 1885 ed il 1886, ad apprendere la neurologia clinica di Charcot, entrando in contatto con la tradizione medica e psicopatologica francese. Egli, nel 1889, passò anche alcune settimane a Nancy, alla scuola di Liébault e Bernheim, dove apprese una concezione psicogenetica dei fenomeni psicopatologici e della suggestionabilità ipnotica che si differenziava dalle teorie di Charcot ed esaltava le caratteristiche psicoterapeutiche del rapporto medico-paziente. Freud fu influenzato particolarmente dalla metodologia di Charcot, in particolare dalle frustes che si discostavano dal quadro tipico e dalla configurazione individuale dei casi nella combinazione dei sintomi. Egli notò dunque che, mentre nell’approccio tedesco i sintomi erano rilevati in funzione di una loro spiegazione fisiopatologica, nella clinica francese invece questa rimaneva sullo sfondo: le osservazioni cliniche rintracciavano la configurazione individuale dei casi e la combinazione dei sintomi. In tal senso Freud colse una novità epistemologica nella clinica francese, secondo cui il sintomo non era più ritenuto esclusivamente un segnale assoluto di una malattia da trattare, come per la tradizione medica, ma assumeva uno specifico significato psicologico in quanto manifestazione dell’individualità che lo esprimeva, per cui questo non rappresentava più l’aspetto osservabile ed oggettivo del disturbo, bensì la rappresentazione esterna di un conflitto psichico inconscio al quale si poteva risalire solo se gli veniva attribuito uno specifico significato più che una classificazione sindromica. Il nuovo obiettivo terapeutico era rivolto dunque a riorganizzare la struttura basilare agendo sui conflitti psichici prodotti da una particolare forma di organizzazione della struttura psichica. I fenomeni psichici, sia normali che patologici, non rappresentavano più gli epifenomeni dell’attività cerebrale secondo la metodologia di intervento psichiatrico-organicista ma, secondo una teoria dinamica della personalità, diventarono la risultante di forze psichiche coscienti ed inconsce, e l’intervento terapeutico iniziò a fondarsi su basi psicologiche. Secondo Freud, un altro aspetto originale della clinica di Charcot consisteva nel dimostrare l’esistenza di una regolarità e di leggi in un campo in cui un’osservazione clinica svogliata aveva messo in luce simulazione o disordine. Seguendo questa linea e passando per l’ipnosi e per il metodo catartico, Freud edificò la psicoanalisi secondo un presupposto metodologico, in base al quale, oggetto privilegiato di studio erano quei fatti psichici (sogni, lapsus, atti mancati, motti di spirito) che apparivano come fenomeni marginali e aleatori, che sfuggivano ad uno studio anatomo-clinico o sperimentale di tipo sistematico. Freud sviluppò in tal senso quel corpus di conoscenze psicologiche, rappresentato dalla psicoanalisi, mirato alla conoscenza della realtà psichica individuale sulla base di uno studio sistematico di eventi abitualmente considerati privi di importanza e trascurabili. 
Le conoscenze psicoanalitiche sulla personalità individuale vennero inferite utilizzando una metodologia clinica di analisi, intesa come una procedura finalizzata all’individuazione di indizi spontanei o provocati, convergenti verso una specifica costruzione interpretativa che produceva la trasformazione ed il cambiamento individuale. La tradizione avviata da Freud ha avuto una particolare, anche se non esclusiva, incidenza nella storia della psicologia clinica, in quanto, tra gli studiosi citati, fu maggiormente in grado di formalizzare i modelli sistematici di funzionamento dell’attività psichica e di studiare la personalità con l’obiettivo di proporre uno specifico processo di cambiamento , mediante mezzi di intervento terapeutico di natura esclusivamente psicologica (Musatti, 1953; 1970). Le possibilità applicative della psicoanalisi parvero ai primi psicologi americani tanto interessanti da invitare personalmente Freud ed i suoi più stretti collaboratori ad esporre le proprie idee in una serie di conferenze tenute nel 1909 presso la Facoltà di Psicologia della Clark University di Worcester in occorrenza della ricorrenza del ventennale della sua fondazione. L’interessamento di Stanley Hall e William James poi, favorì l’ingresso ufficiale della psicoanalisi e della tradizione psicodinamica nell’ambito della psicologia clinica statunitense (Shakow, Rapaport, 1971; Reisman, 1991). 

Hippolyte Bernheim
fondatore insieme ad Auguste Ambrosie Liébault della Scuola di Nancy, fu uno dei più grandi personaggi del panorama scientifico europeo nella seconda metà dell’Ottocento. Egli si occupò dell’ipnosi e della sua utilizzazione per il trattamento dei disturbi mentali e, in opposizione a Charcot e alla scuola della Salpêtrière di Parigi, ritenne che l’ipnosi non fosse una condizione patologica riscontrabile solo negli isterici, ma un effetto invece della suggestione. Quest’ultima era dunque considerata il fattore fondamentale dell’ipnosi e fattore principale nell’isteria, poiché era possibile ipnotizzare anche le persone non isteriche. Bernheim, e prima ancora lo stesso Liébault, ritennero che il fattore principale dell’isteria fosse rappresentato dalla suggestionabilità, ovvero da quella disposizione a trasformare un’idea in un’azione, presente in ogni essere umano anche se in gradi diversi: l’ipnosi era dunque ritenuta uno stato di accentuazione della suggestionabilità indotta da suggestione (Ellenberger, 1970). A tale proposito l’ipnotismo poteva essere utilizzato come metodo di intervento per il trattamento di molte malattie organiche del sistema nervoso, rimanendo comunque un fenomeno di natura psicologica. L’atteggiamento psicoterapeutico di Bernheim si rivolse alla sperimentazione della suggestione post-ipnotica, dimostrando che i contenuti mentali inconsci potevano influenzare il comportamento: i pazienti che si svegliavano dalla trance ipnotica eseguivano infatti gli ordini impartiti dal terapeuta durante l’ipnosi, senza ricordare che si trattava di ordini impartiti dall’ipnotista.



Breve storia della psicologia


Le origini della psicologia come scienza
Il percorso di progressiva affermazione della psicologia come scienza autonoma rispetto alla filosofia e alle scienze della natura, inizia soltanto a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento. Non è stato affatto facile affermare la possibilità di studiare con un metodo scientifico la psiche umana cioè le idee, le percezioni, i sentimenti, le emozioni che sono alla base del comportamento dell'uomo.


I precursori

Già alcuni filosofi greci, come Platone ed Aristotele, posero interrogativi che ancor oggi sono alla base della ricerca psicologica, ma è solo a partire dal Seicento che inizia un confronto più serrato su questi argomenti. Sono sempre i filosofi, come Cartesio,Thomas Hobbes e John Locke, a portare avanti riflessioni e a proporre teorie sulla mente umana. 

L'importanza di Cartesio (
René Descartes, 1596 - 1650) 


Il dualismo cartesiano è una precondizione della nascita della psicologia scientifica. Cartesio divide la realtà in:
  • Res extensa = sostanza estesa, corporea, spaziale, inconsapevole 
  • Res cogintans = sostanza pensante, consapevole

Qual è il rapporto che l'io in quanto pensiero e il corpo in quanto estensione intrattengono tra di loro? Cartesio anzitutto esclude che il pensiero sia nel corpo «come un nocchiero nella barca»; questa era l'immagine platonica per illustrare il rapporto anima-corpo, che lasciava intatte e separate le due sostanze. A tale possibilità Cartesio obietta che le sensazioni che abbiamo, fame, sete, dolore...ecc., ci segnalano un rapporto diretto col corpo, laddove se non si realizzasse un'unità, l'intelletto non proverebbe quei pensieri di sensazione, ma essi gli riuscirebbero in qualche modo estranei. C'è un ulteriore elemento che ci dà la misura dell'unione intrinseca dell'intelletto col corpo, e cioè che i corpi esterni a noi intrattengono con noi rapporti che non sono percepiti come inerenti esclusivamente alla nostra corporeità, ma come benefici o dannosi a tutti noi stessi. Anima e corpo sono dunque «mescolati», come attestano le sensazioni sia interne che esterne; ma non al punto che non sia possibile distinguere alcune operazioni «che sono di pertinenza della sola anima» e altre «che appartengono al solo corpo». All'anima compete la conoscenza della verità, al corpo le sensazioni «che ci sono date dalla natura propriamente solo per indicare all'anima quali cose siano di beneficio, quali di danno, a quel composto di cui essa è una parte, e ciò finché non sono ben chiare e distinte». Il corpo dà dunque all'anima le indicazioni necessarie perché essa operi per la sopravvivenza del composto, ma tali indicazioni sono oscure e confuse, e la luce intellettuale deve, per conoscere la verità su di esse, provvedere a chiarirle. 

Passa poi ad analizzare il processo sensoriale, diviso in 3 livelli: 


1. Fisiologico = condiviso tra uomini e animale; l’azione dei sensi è passiva, poiché essi sentono tramite una passione, suscitata in essi dagli oggetti sensibili, che provocano un movimento dei condotti.


2. Spirito = res cogitans, la sensazione raggiunge la ghiandola pineale o conarium, essa infatti è il punto in cui si uniscono le 2 res, ma la mente non riesce ancora a localizzare il percepito.


3. Vera percezione = distinzione dalla sensazione. 


Secondo Cartesio riusciamo a formarci un giudizio sulle cose esterne attraverso il movimento degli organi corporei su di esse. 


Nascita della psicologia moderna
La psicologia scientifica moderna nasce nella seconda metà dell'Ottocento. Tra il 1850 e il 1870 fisici e medici si occupano dello studio della psiche: le sensazioni, le emozioni, le attività intellettive. Gli scienziati applicarono allo studio della mente le metodologie che già applicavano alle scienze naturali, ma senza rendersi conto che stavano creando una nuova scienza, la moderna psicologia scientifica, in cui fusero le scienze naturali con lo studio della mente. Fra i principali precursori che aprirono la strada alla nascita della moderna psicologia si possono citare: Charles Darwin, che propose varie teorie sulle emozioni, Franciscus Donders, che compì studi sui tempi di reazione, Ernst Weber e Gustav Theodor Fechner, che diedero vita alla psicofisica, studiando il rapporto tra stimoli fisici e sensazioni mentali, Hermann Ebbinghaus (1850-1909) che fu tra i primi ad applicare il metodo sperimentale allo studio della memoria, Francis Galton che fu il padre della psicologia differenziale, Théodule Ribot che contribuì in modo decisivo a far assumere una propria identità alla psicopatologia, Alfred Binet e Arnold Gesell che risultarono fondamentali pionieri nella "psicologia infantile".


Il termine psicologia deriva dall’unione di psyché (spirito, anima) e da logos (discorso, studio) e può essere tradotto come studio o scienza dell’anima. Questo termine appare per la prima volta nel 1520 in un testo di cui ci rimane solamente il titolo “Psychologiade ratione animae humanae” di Marcus Maurulus. Si dovrà aspettare l’opera di un allievo di Leibniz, Christian Wolff, perché si arrivi al significato di psicologia simile a quello moderno. Wolff distinse una psicologia razionale (più filosofica) da una psicologia empirica (più naturalista). Questa distinzione verrà ripresa e segnerà la distinzione tra psicologia scientifica e filosofia.


Il laboratorio di Wundt

Il merito di aver fondato la psicologia come disciplina accademica spetta al tedesco Wilhelm Wundt (1832-1920). Questi raccolse e scrisse una mole gigantesca di materiale riguardante la nascente disciplina e, grazie alla sua grande cultura, riuscì a dare alla materia una base concettuale e un assetto organico. Wundt, nel 1873-74, pubblicò "Fondamenti di psicologia fisiologica", opera considerata il primo vero trattato psicologico-scientifico della storia.
Nel 1875 Wundt divenne professore di filosofia a Lipsia, dove fondò un suo laboratorio nel 1879. A questo laboratorio affluirono allievi e scienziati di tutto il mondo che compirono ricerche e studi sui tempi di reazione, l'attenzione, le associazioni mentali e la psicofisiologia dei sensi. Per Wundt l'oggetto della psicologia doveva essere l'esperienza umana immediata, contrapposta all'esperienza mediata, che era invece oggetto delle scienze fisiche. Grazie a questa definizione, e all'uso di una metodologia rigorosa durante gli esperimenti, si strutturò definitivamente la psicologia intesa come disciplina scientifica ed accademica. Per il suo grande impegno e gli ingenti studi, Wundt è passato alla storia come il padre fondatore della psicologia.Il metodo utilizzato da Wundt era quello dell'introspezione.



Il metodo introspettivo 
Il paziente dopo esser stato addestrato appunto ad utilizzare solo e solamente ciò che la propria coscienza percettiva nota come realtà, doveva esporre verbalmente il proprio vissuto interno. Per esempio: Se il paziente oggettivamente vedeva l'accendersi e lo spegnersi in rapida sequenza di 20 lampadine poste in file, non doveva riferire ciò, ma doveva affermare "percepisco una luce accesa che si sposta da destra a sinistra in linea retta". Tanto repentino fu lo sviluppo di questa tecnica, quanto l'affievolimento dell'ambiente strutturalista: la metodica era questa e doveva esser presa alla lettera.


Osservazione acritica dei propri vissuti interni. Si distingue in:
  1. simultanea: l'introspezione è contemporanea al manifestarsi dell'evento psichico
  2. retroattiva: l'introspezione è seguente al manifestarsi all'evento psichico cioè avviene dopo.


Lo strutturalismo ne adottò la tecnica in quanto mediante essa era possibile osservare e misurare direttamente il vissuto psichico interno soggettivo del paziente, il quale, introspettivamente, riportava verbalmente le sue manifestazioni psichiche.


Lo strutturalismo: è un approccio psicologico inaugurato da W. Wundt, in Germania, e proseguito, negli U.S.A., dal suo allievo E.B. Titchener. Unanimemente riconosciuto come il primo modello di psicologia sperimentale, in quanto adotta le metodiche e le procedure della chimica e della fisica di fine 1800, quali il laboratorio e il metodo galileiano, al fine di dare una impronta scientifica alla psicologia. Secondo Titchener, la psicologia deve analizzare la struttura della mente, che sarebbe formata da tanti elementi che la compongono come un mosaico di sensazioni, emozioni, concetti; il lavoro dello strutturalista è quindi quello di analizzare tutti questi percetti, emozioni, concetti.

Principi dello strutturalismo sono l'elementarismo (la concezione della psiche come "sommatoria" e strutturazione di elementi semplici di base: affetti, sensazioni, percetti, etc.) e l'introspezione come metodo (ovvero l'analisi della struttura psichica attraverso l'auto-osservazione rigorosa dei propri processi interni da parte di ricercatori appositamente addestrati, secondo specifici protocolli).


Critiche
Lo strutturalismo fu criticato sia per la sua impostazione di fondo che per il suo metodo. L'impronta elementarista venne criticata duramente per quanto riguarda la percezione, dalla Gestalt (in Europa), mentre fu criticata dal funzionalismo (negli U.S.A.) per quanto concerne lo studio e il modo con cui viene considerata la coscienza. 


Il funzionalismo: è un indirizzo di ricerca in psicologia, inaugurato negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento da William James e John Dewey, che interpreta i fenomeni psichici non come elementi disgiunti fra loro (come cercava di fare il coevo strutturalismo europeo di Edward Titchener), ma come funzioni mediante le quali l'organismo si adatta all'ambiente sociale e fisico.


Il Funzionalismo fu una scuola di studi e di pensiero che ebbe radici nell'Evoluzionismo, e che si sviluppò principalmente nel campo filosofico e pedagogico lasciando da parte il campo psicologico. Si fa in genere coincidere il Funzionalismo Psicologico con la Scuola di Chicago (Dewey, 1896; Angell, 1907) ma nel panorama di questo movimento non si possono trascurare gli apporti di studiosi come William James, Granville Stanley Hall e James McKeen Cattell. 


Anche se il funzionalismo, come scuola psicologica specifica, ha conosciuto un declino a partire dalla fine degli anni '20 (in contemporanea con la coeva crescita del Comportamentismo nella psicologia accademica Statunitense), alcuni dei suoi assunti di base (l'analisi molaristica e non molecolaristica, l'attenzione ai processi funzionali ed al loro scopo adattativo) sono filtrati all'interno dei principi impliciti della ricerca psicologica contemporanea, sia in settori specifici come la Psicologia Evoluzionistica e, più di recente, nella Psicologia Funzionale che più in generale, in buona parte della Scienza Cognitiva.


La psicologia della Gestalt
Gli psicologi della Gestalt cercarono di dimostrare sperimentalmente la validità del criterio della "totalità" nello studio delle funzioni psichiche. Per essi, infatti, non era giusto dividere l'esperienza umana nelle sue componenti elementari e occorreva, invece, considerare l'intero come fenomeno sovraordinato rispetto alla somma dei suoi componenti. In altre parole, per gli psicologi della Gestalt: "L'insieme è più della somma delle sue singole parti". È chiaro quindi come questa Scuola si opponesse alla teorie associazionistiche di Wundt e a quelle comportamentistiche di Watson, per spostare l'accento sulla tendenza degli insiemi percettivi, e per estensione delle rappresentazioni del pensiero, a presentarsi al soggetto sotto forma di unità coerenti. La psicologia della Gestalt ricorse, perciò, al metodo fenomenologico, col quale i dati dell'esperienza non vengono interpretati e scomposti, ma descritti totalmente nella loro immediatezza, così come essi appaiono al soggetto. I gestaltisti, studiando in modo approfondito la percezione, intuirono che la realtà fenomenologica si struttura spontaneamente in unità, nel campo di esperienza del soggetto, ogni volta che gli elementi di un insieme presentano determinate caratteristiche. Individuarono così cinque leggi (dette "leggi della formazione delle unità fenomeniche") le quali stanno alla base del nostro modo di cogliere le cose e di organizzare i dati percepiti. 


Legge della somiglianza: elementi identici o simili tendono ad essere percepiti come unità. 


Legge della buona forma: figure geometriche sovrapposte, tendono ad essere percepite ancora come separate, cioè ognuna con la propria forma.


Legge della vicinanza: più gli elementi di un insieme sono vicini, maggiore sarà la tendenza a percepire quegli elementi come unità. 


Legge della buona continuazione: si tendono a percepire come unità quegli elementi che minimizzano i cambiamenti di direzione.


Legge del destino comune: con elementi in movimento, vengono percepiti come un'unità quelli con uno spostamento coerente.


Legge della chiusura: elementi figurali chiusi o che tendono a chiudersi vengono percepiti come appartenenti alla stessa unità figurale.


Queste sono solo alcune delle numerose regole alla base della percezione e che permettono, ad esempio, di comprendere il funzionamento delle illusioni ottiche. Il punto centrale della psicologia della Gestalt era, perciò, la convinzione che riuscendo a comprendere come si organizzano le nostre percezioni, si potesse anche comprendere il modo in cui il soggetto organizza e struttura i propri pensieri. Infine, è importante sottolineare che queste tendenze all'auto-organizzazione erano viste dai gestaltisti come una caratteristica innata, ridimensionando in questo modo l'importanza dell'esperienza e dell'apprendimento nella strutturazione del pensiero.
Gli psicologi della Gestalt sono noti, come se ne evince soprattutto per i loro contributi nel campo della percezione. Oltremodo è da ravvisare che la Gestalt, non è uno studio della percezione fine a se stesso, ma è principalmente e nella sua essenza un metodo d'indagine dell'umano (la Gestalt è di più della semplice somma delle parti). Mediante esso è stato possibile il proliferare di studi, concetti e campi di ricerca assai numerosi:
  • gli studi sull'intelligenza nei primati ad opera di Köhler (1917) furono talmente importanti da far nascere il concetto di insight;
  • Kurt Lewin, allievo di Wolfgang Köhler, svilupperà il concetto di campo dando vita, addirittura, ad una branca della psicologia: la psicologia sociale;
  • Kurt Koffka fece notare che i princìpi della Gestalt sono applicabili pressoché ad uno spettro d'indagine illimitato (percezione ed intelligenza, ma anche nello studio del sociale, dell'educazione e dello sviluppo, fino ad arrivare a legami con concetti dielettromagnetismo);
  • James Gibson porterà la sua critica ad un certo modo di fare ricerca troppo legato al laboratorio, nei confronti della psicologia cognitiva, proprio basandosi su una matrice di ricerca in linea con la Gestalt.

Le scuole russe: Pavlov e la riflessologia
NOTA DI REDAZIONE: LA PRESENTE SEZIONE E LA SUCCESSIVA (COMPORTAMENTISMO) CONTENGONO IMMAGINI E VIDEO DI SPERIMENTAZIONI SU ANIMALI AVVENUTE NEI PRIMI ANNI DEL '900, UNA TRADIZIONE CHE PURTROPPO PROSEGUE ANCHE OGGI. LE INFORMAZIONI CONTENUTE IN QUESTA SEZIONE VENGONO INSERITE SOLO PER RAGIONI DI COMPLETEZZA STORICA. IL CURATORE DEL BLOG E' FORTEMENTE CONTRARIO A ESPERIMENTI SU ANIMALI. ANCHE PER QUESTO MOTIVO IL CURATORE TIENE A PRECISARE CHE ADERISCE AD UN FILONE DELLA PSICOLOGIA CHE HA STORICAMENTE RAGGIUNTO CONOSCENZA ATTRAVERSO LA SOLA ESPERIENZA CLINICA (VEDI PSICOANALISI). IL GESTORE INVITA I LETTORI A VISITARE IL SITO DELLA LEGA ITALIANA ANTIVIVISEZIONE - LINK: 

Sempre verso la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento nacquero nuove Scuole di psicologia in Unione Sovietica. In particolare, ebbero grande risonanza le ricerche di Ivan Pavlov (1849-1936). 
Pavlov (nel 1904, premio Nobel per la medicina) fu un fisiologo e non volle mai essere considerato uno psicologo. Nonostante ciò, i suoi studi diedero grande impulso e influenzarono notevolmente una delle successive Scuole psicologiche che avrà maggior successo: il comportamentismo. Pavlov compì studi, mediante esperimenti su animali , su quello che venne chiamato riflesso condizionato, dimostrando come fosse possibile far sorgere un dato comportamento associandolo a un determinato stimolo. 

La maggior parte delle Scuole russe di psicologia continuarono questo filone di ricerche e per questo sono state accomunate sotto il nome di riflessologia russa. La teoria alla base di tutte queste Scuole era la convinzione che i processi psichici potessero essere ridotti a semplici riflessi, cioè i processi psichici erano visti come semplici processi fisiologici ed elementari.



Il comportamentismo
Nel 1913, negli Stati Uniti, John Watson (1878-1958), diede vita ad una nuova Scuola psicologica, detta comportamentismo, attraverso la pubblicazione di un celebre articolo intitolato "La psicologia considerata dal punto di vista comportamentistico". Il comportamentismo, detto anche behaviorismo, dominerà la scena internazionale per circa cinquant'anni, cioè per tutta la prima metà del XX secolo. 
Il comportamentismo rivoluzionò i concetti della precedente psicologia, concentrando i suoi sforzi e studi non più sulla "coscienza", bensì attorno al "comportamento". Il nuovo e unico oggetto della psicologia divenne, perciò, il comportamento pubblicamente osservabile degli organismi viventi. Il comportamentismo criticò fortemente anche il concetto di innatismo, in quanto prevedeva che ogni comportamento umano fosse determinato solamente dagli stimoli ambientali. Questo portò alla nascita della schema Stimolo-Risposta (S-R), che prevedeva che ad una stimolazione che agisce su un organismo segua una reazione dell'organismo stesso. Come già accennato, il comportamentismo fece tesoro anche degli esperimenti sul condizionamento di Pavlov, e arrivò ad ipotizzare che ogni comportamento umano potesse essere appreso mediante condizionamento.
Quasi la totalità degli psicologi americani di questo periodo era di matrice comportamentista e, fra i maggiori autori che diedero impulso a questa Scuola, si possono ricordare Burrhus Skinner, Edward Tolman e Clark Hull.
Il comportamentismo entrò in crisi nei primi anni sessanta, in quanto risultò evidente come queste teorie semplicistiche non fossero in grado di spiegare i comportamenti umani più complessi, come ad esempio le relazioni sociali. Il behaviorismo, inoltre, venne anche criticato per il suo ridurre l'essere umano ad un organismo passivo che rispondeva solo alle leggi del condizionamento. Nonostante tutto, il comportamentismo è sopravvissuto fino ai giorni nostri in alcune correnti come il neo-comportamentismo e, va sottolineato, la Scuola di Watson ha comunque grandi meriti nell'aver dato un forte impulso di ricerca ed una dignità scientifica alla psicologia.


Scuola storico culturale:

Un discorso a parte merita il russo Lev Vygotskij (1896-1934) e la sua Scuola storico-culturale. Per Vygotskij l'esperienza storica (storicità) era l'aspetto fondante dell'esperienza umana e della stessa psicologia. Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo del bambino doveva essere valutato e studiato in rapporto alle sue componenti sociali, culturali e ambientali. Queste originali ed innovative riflessioni, che si contrapponevano in modo netto al rigido e deterministico comportamentismo che stava nascendo negli Stati Uniti, furono a lungo ignorate, anche per la mancata traduzione delle opere di Vygotskij dalla lingua russa a quella inglese. Solo a partire dagli anni ottanta questo autore è stato oggetto di riscoperta, divenendo uno dei principali ispiratori della psicologia postmoderna e della psicopedagogia.


L'epistemologia genetica 
E' una disciplina psicologica fondata dallo psicologo svizzero Jean Piaget (1896-1980) 
alla metà del XX secolo, interessata allo studio delle origini (la genesi) della conoscenza. Il termine epistemologia viene qui inteso con un'accezione abbastanza diversa da quella usuale.

Il Centre International d'Epistémologie Génétique ("Centro internazionale di epistemologia genetica") fu fondato a Ginevra nel 1955 da Piaget, e da lui diretto fino alla sua morte nel 1980.
Questa prospettiva psicologica intende collegare la validità della conoscenza al modello della sua costruzione. In altre parole, essa mostra che i metodi usati per ottenere e creare la conoscenza influenzano la validità della conoscenza risultante. Per esempio, la nostra esperienza diretta della forza di gravità ha maggiore validità della nostra esperienza indiretta con i buchi neri.
L'epistemologia genetica spiega anche il processo tramite il quale un essere umano sviluppa le sue abilità cognitive nel corso della sua vita, a partire dalla nascita ed attraversando stadi sequenziali di sviluppo, con particolare attenzione ai primi anni dello sviluppo cognitivo.
Piaget dimostrò innanzi tutto l'esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell'adulto; individuò poi delle differenze strutturali nel modo con il quale, nelle sue diverse età, l'individuo si accosta alla realtà esterna ed affronta i problemi di adattamento a tale realtà.
Sviluppò così una distinzione delle fasi dello sviluppo cognitivo, individuando 4 periodi fondamentali dello stesso.
  1. Fase senso-motoria (dalla nascita ai 2 anni circa)
  2. Fase pre-operatoria (dai 2 ai 7 anni)
  3. Fase delle operazioni concrete (dai 7 agli 11 anni)
  4. Fase delle operazioni formali (dai 12 anni in poi).

L'ascesa del cognitivismo

A partire dagli anni sessanta un nuovo orientamento iniziò a farsi largo in psicologia: il cognitivismo. Questo è oggi l'orientamento dominante in psicologia. Alle sue origini troviamo diverse matrici che si sono espresse fra gli anni cinquanta e '60, in buona parte nate all'interno dello stesso comportamentismo. La rapida ascesa del cognitivismo fu dovuta, innanzitutto, al fallimento dello stesso comportamentismo, che con le sue teorie semplicistiche non era riuscito a spiegare i comportamenti umani complessi. Lo schema S-R (Stimolo-Risposta) del comportamentismo era, infatti, divenuto insufficiente e fu gradualmente sostituito dallo schema S-O-R in cui O (organismo) rappresentava la mediazione fra lo stimolo e la risposta. A differenza del comportamentismo, dove l'uomo era visto come un semplice insieme di comportamenti da osservare, il cognitivismo poneva l'accento sull'attività pensante dell'uomo, visto come organismo attivo e non più passivo. In altre parole il simbolo "O" iniziò a rappresentare la "mente", che per i cognitivisti divenne l'unico oggetto di studio.
Storicamente la prima volta in cui venne presentata in maniera compiuta la teoria cognitivista fu nel libro "Psicologia cognitivista", di Ulric Neisser,
pubblicato nel 1967. Come accennato, però, i presupposti dell'approccio cognitivista erano già presenti e rintracciabili in teorie ed orientamenti precedenti, ad esempio nelle opere degli psicologi Kenneth Craik, George Armitage Miller e del linguista americano Noam Chomsky. E ancora prima con Oswald Külpe, Karl Bühler, Frederic Bartlett, James McKeen Cattell, Alfred Binet, James Baldwin, Jean Piaget.
Come detto, il cognitivismo non è una scuola psicologica ma un orientamento ove confluiscono scuole e matrici di ricerca. Le principali sono la psicologia dell'atto (inaugurata da Franz Brentano), l'informatica e la cibernetica. In particolare negli anni '70, si diffuse il modello HIP, il quale proponeva la metafora della mente come elaboratore di informazioni. La mente, cioè, era vista come un computer, nel quale lo stimolo-risposta comportamentista si trasformò in input-elaborazione-output:
  • input: informazioni in entrata nella mente, corrispondenti agli "stimoli" del comportamentismo;
  • elaborazione: conversione delle informazioni che mutano, e vengono rielaborate dai processi mentali;
  • output: uscita delle informazioni sotto forma di comportamento manifesto, linguaggio, mimica facciale, postura, ecc., corrispondenti alle "risposte" o "reazioni" del comportamentismo. Il modello HIP fu però criticato in quanto dipinge un uomo artificiale, che non corrisponde all'uomo reale inserito nel suo ambiente naturale.

Altro orientamento fortemente ravvisabile nel cognitivismo è lo studio del comportamento finalizzato ad una meta ("goal-driven"): il comportamento non è più visto come atto passivo, tipico del comportamentismo, bensì attivo al fine di raggiungere la soluzione di un problema. La nozione di retroazione (feedback), proveniente dalla cibernetica, è centrale in questa ottica dello studio del comportamento umano. Il testo ove esplicitamente si propose questo modello fu il noto "Piani e struttura del comportamento", di George Armitage Miller (psicologo sperimentale), Karl Pribram (neuroscienziato), e Eugene Galanter (psicologo matematico); queste diverse formazioni sono da sottolineare, al fine di comprendere il nuovo cognitivismo come confluenza di matrici di ricerca, ed il carattere interdisciplinare del loro curriculum.
In "Piani e struttura del comportamento" si esprime il modello T-O-T-E: il comportamento è rivolto ad un fine mediante l'esame della realtà (test), l'elaborazione dell'informazione (operate), un successivo esame di ciò che è stato elaborato (test), eventuale retroazione al fine di migliorare l'elaborazione stessa dell'informazione, e successiva uscita (exit) dell'informazione sotto forma di comportamento manifesto, linguaggio, mimica facciale, postura, e così via.